Chissà se fosse veramente il caso di rifare, a cosi breve scadenza, il primo episodio della saga letteraria da 65 milioni di copie di Stieg Larsson: girato dal danese Arden Oplev e risultato, oltretutto, il più ispirato della trilogia. Detto questo, David Fincher (SEVEN, ILCASO CURIOSO DI BENJAMIN BUTTON, THE SOCIAL NETWORK) non è qualcuno da adagiarsi alle leggi più mortificanti del marketing. Il MILLENNIUM numero 1 viveva sulla sensazionale presenza della gotica-punk Lisbeth Salander, interpretata dall'ormai mitica Noomi Rapace; poi, rispetto al romanzo, mancava (inevitabilmente?) del respiro dell'ambiente, dei suoi tempi sapientemente dilatati, della complessa, ragionata struttura di relazioni creata dallo scrittore.
Questo numero due degli americani si alimenta al contrario dell'universo espressivo autoriale del regista di ZODIAC: capace, quando occorre, di destabilizzare le sue storie nell'ambiguità glauca degli enigmi, nel torpido di una violenza esattamente collocata ai confini del sadismo o del compiacimento. E' un universo a metà strada tra l'esame meticoloso e razionale degli elementi realistici (l'indagine tutta concentrata sulla ricostruzione delle fotografie; la ragnatela ossessiva fra gli schermi degli hacker, la dipendenza dai cellulari) e la fuga ai confini del metafisico: uno spazio che finisce per risultare congeniale ai modi di procedere sia di Larsson che di Fincher.
Da buon americano, al secondo interessano assai meno i risvolti politici della faccenda, le problematiche più europee di rimozione da certe forme di collaborazionismo, dell'incancrenirsi della socialdemocrazia nordica nella corruzione, che costituiscono invece uno dei motivi d'interesse del modello letterario. In compenso, si ritrova fra le mani una carta formidabile e del tutto insperata: una nuova, altrettanto formidabile Lisbeth Salander, una quasi sconosciuta Rooney Mara capace di non far rimpiangere Noomi Rapace. Sul filo di un montaggio parallelo (fin troppo) elaborato e incessante il film è allora tutto costruito sui rimandi dell'asse solo apparentemente instabile Mikael-Lisbeth: ma in un crescendo che finisce per conferire (giustamente) all'eroina della saga, alla sua strabiliante praticità ma anche alla sua toccante fragilità il peso dell'originalità e dell'identità di quanto sarebbe risultato altrimenti il remake affrettato tratto da un materiale sovrabbondante.